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Quando arbitrare è una “questione di famiglia” e di grande passione

Partiamo da un’immagine: un padre e un figlio che si abbracciano in una serata di luglio su un campo di basket e non è un campo di basket qualunque.  È il più famoso playground italiano e tra i più famosi in Europa, siamo a Bologna ai Giardini Margherita dove da 42 anni va in scena […]
11 Luglio, 2024

Partiamo da un’immagine: un padre e un figlio che si abbracciano in una serata di luglio su un campo di basket e non è un campo di basket qualunque.  È il più famoso playground italiano e tra i più famosi in Europa, siamo a Bologna ai Giardini Margherita dove da 42 anni va in scena un torneo che è diventato la competizione all’aperto di pallacanestro più antica e prestigiosa d’Italia. Qui trovi semplici appassionati, ragazzi, chi non vuole saperne di smettere perché nonostante l’età la passione è troppo grande, giocatori e giocatrici di serie A e ovviamente arbitri perché senza di loro la partita non puo’ iniziare. Bene, torniamo all’immagine iniziale, due uomini adulti, entrambi indossano la divisa federale da arbitri di basket, si abbracciano commossi, il pubblico applaude e rende il giusto omaggio a chi ha fatto della sua grande passione una ‘missione’ svolta sul parquet arbitrando ai massimi livelli e fuori come formatore delle nuove leve del settore arbitrale. In quella foto ad abbracciarsi, vivendo un momento davvero intenso, sono Claudio Indrizzi, arbitro con una carriera incredibile con oltre 20 anni di partite dirette tra serie A, A2 e campionati giovanili e Matteo Indrizzi, il figlio che ha ereditato la medesima passione. Claudio e Matteo hanno arbitrato insieme un match del Torneo Giardini Margherita ‘Walter Bussolari’ e per Claudio si è trattato dell’ultima partita arbitrata della sua lunga carriera. Un abbraccio e una commozione che padre e figlio hanno vissuto con intensità, ma che è arrivata a tutti, tanti, che sedevano sulle tribune intorno al playground bolognese.

Mi sono reso conto che è finita una parte della mia vita perché mio padre ha chiuso un capitolo della sua, lungo e pieno di soddisfazioni”, ci dice Matteo Indrizzi che ha seguito le orme del padre, ma non per emulazione. La passione per il ruolo di arbitro è arrivata anche un po’ per caso, ma da quel momento non è più andata via. “Fino a 12 anni, sinceramente non avevo questa grande passione per il basket. Poi ho iniziato, mi ha appassionato, ma diciamo che non avevo quei numeri che fanno la differenza, ma il campo mi piaceva. Un giorno, durante un torneo giovanile, mancavano arbitri e mio padre mi propose di provare. Non ero convinto, ma dal momento in cui ho iniziato e non ho più smesso. Sono innamorato di quello che faccio e mi piace farlo”.

Avere un padre arbitro di alto livello cosa ha significato per chi come te ha intrapreso lo stesso percorso? “È stato indubbiamente stimolante, ma lui mi ha sempre lasciato ‘sbagliare’ da solo perché crescessi umanamente e tecnicamente. Poi, nel rapporto tra padre e figlio avere anche una passione comune arricchisce un rapporto che è già molto intenso”

Il ruolo dell’arbitro, per una evidente miopia culturale, è troppo spesso inquadrato in un modo sbagliato pur essendo una figura determinante nell’equilibrio della partita. Come si puo’ cambiare questa visione non corretta? “E’ una cultura sportiva errata e si ‘combatte’ sensibilizzando più possibile al ruolo che noi ricopriamo. Siamo una squadra come tutte le altre. Ci alleniamo, studiamo, abbiamo una nostra etica del lavoro. Siamo un gruppo dove insieme cresciamo come persone e come arbitri, confrontandoci e cercando di migliorarci sempre. Il nostro è un ruolo complesso perché in campo è possibile sempre commettere un errore, siamo uomini, ma dobbiamo ‘resettarci’ immediatamente, cristallizzare quell’attimo per rivederlo in un secondo momento. Emotivamente è impegnativo. Un giocatore se sbaglia puo’ fermarsi, sedersi in panchina per qualche minuto, scaricare e ripartire. Noi non possiamo farlo”.

Perché un ragazzo dovrebbe scegliere di fare l’arbitro? È una domanda che mi sento fare spesso quando facciamo attività di reclutamento. Puoi crescere vivendo all’interno dello sport che ami, vedendolo in un modo diverso, ma provando le stesse emozioni, quelle che si provano quando entri in un grande palazzetto dello sport, camminando sul parquet come fanno i campioni che da lì a poco si sfideranno. Sono emozioni incredibili”.

L’arbitro è un atleta come gli altri che si confrontano sul parquet. È uno di loro che svolge un ruolo fondamentale, ma diverso. Un buon arbitro non deve essere autoritario, autorevole sì, professionale, preparato, competente, empatico, in grado di decidere in una frazione di secondo. Come gli atleti deve avere a disposizione tutti gli strumenti necessari per svolgere al meglio il proprio ruolo e Macron da anni è al loro fianco fornendo abbigliamento tecnico performante e studiato per rispondere alle loro esigenze. Il resto, in campo, ce lo mettono loro, Claudio e Matteo con il loro amore, la loro passione, serietà e credibilità e gli applausi scroscianti di una sera di luglio al playground dei Giardini Margherita, insieme ad un abbraccio che dice tutto, ne sono la prova.

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